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domenica 5 luglio 2015

Crisi economica in Grecia e referendum


Alla fine del 2009, l'allora primo ministro greco George Papandreou rivelò che i governi precedenti avevano truccato i bilanci dello Stato, in modo da permettere alla Grecia l'entrata nell'Euro, denunciando così il rischio di bancarotta. (Clicca qui per approfondire). Le conseguenze di tali dichiarazioni furono, in primo luogo, la mancanza di fiducia da parte di investitori, timorosi dell'impossibilità da parte dello Stato di rispettare gli obblighi di debito, anche a causa del continuo aumento del debito pubblico: il bilancio dello Stato, infatti, era in negativo, gli investitori smettono di comprare titoli e lo spread aumenta. Con il declassamento del debito pubblico a junk bond (titoli spazzatura), si è creato, nell'aprile 2009, allarme nei mercati finanziari.
Papandreou, al fine di evitare il fallimento della Grecia, sempre nel 2009 fece ricorso a drastiche manovre con tagli alle spese pubbliche: diminuzione dei salari del settore pubblico, aumento dell'IVA e delle accise, etc. Tali misure vennero mal digerite dal popolo greco. Da allora, si sono verificati diversi tentativi di salvataggio della Grecia: nel 2010 i paesi dell'Eurozona e il Fondo Monetario Internazionale approvano un prestito di 110 miliardi di euro subordinato a severe misure di austerità. Nell'ottobre 2011, l'intervento viene reiterato e viene attuato un prestito di 130 miliardi di euro, questa volta non solo subordinato a misure di austerity, ma anche dalla decisione di tutti i creditori privati per una ristrutturazione del debito greco: in sostanza, tali creditori avrebbero dovuto accettare la perdita della metà del valore nominale dei bond greci, in modo da poter ridurre il livello del debito di Atene dal 198% del PIL del 2012 a un 120% del PIL entro il 2020. (Una piccola parentesi riguarda il 2014, quando la Grecia, nel 3° tremestre, riesce a registrare una timida crescita dello 0,7%).
A gennaio 2015, in Grecia viene eletto a capo del governo Alexi Tsipras, capo politico del partito SYRIZA (coalizione della sinistra radicale, di ispirazione socialdemocratica). Tsipras viene incaricato di risolvere la questione del debito con BCE, FMI e CE (troika), ma fallisce nell'intento, in quanto le imposizioni dettate dai creditori sono state definite umilianti per il popolo greco, visto che le condizioni si fondano nuovamente su tagli e austerity. A fine giugno 2015, Tsipras decide di indire un referendum circa le suddette condizioni, chiedendo al popolo greco se fosse disposto o meno ad accettare le proposte di ristrutturazione del debito indicate dai creditori e, in occasione di un discorso al popolo greco, Tsipras cita Roosevelt: "l'unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa!). In questo periodo, tra l'altro, si delineava anche la paura di un prelievo forzoso dai depositi. Nel referendum vincono i "no" con una schiacciante maggioranza del 62% dei voti.


L'Unione Europea considera il caso greco di grande importanza, visto che la questione si potrebbe ripercuotere negli altri mercati della zona euro.
Quello che accadrà rimane tutto da vedere, e gli scenari possibili che possono verificarsi, sono svariati. Uno degli scenari potrebbe riguardare il Piano Grexit, con la relativa uscita della Grecia dall'Euro, anche se il referendum, come accennato, non riguardava l'uscita o meno dalla moneta unica, ma l'accettazione delle condizioni imposte dalla troika. D'altro canto la Grecia potrebbe ritrovarsi ora senza aiuti.


da parte delle cancellerie europee: ecco quindi che si delineerebbe sempre di più l'uscita della Grecia dall'Euro, visto che non si troverebbe più euro nelle casse. Conseguenza certa del referendum riguarda le dimissioni del ministro delle finanze Yannis Varoufakis per rendere più facili le trattative.
Un'eventuale uscita della Grecia dall'Euro, però, potrebbe avere conseguenze in vari paesi della zona euro. Potrebbe anche verificarsi una temporanea coesistenza di due monete, forse Tsipras riuscirà ad ammorbidire le imposizioni della troika, visto che comunque ha dichiarato di voler eventualmente raggiungere un accordo con i creditori. C'è anche chi vorrebbe un referendum sull'Euro in Italia.